Fotografía

"Nelle linee di una mano"
Citerna, 2010





Pier Luigi Del Citerna, detto Gigi, è un omone enorme: una presenza imponente che si aggira solitaria per il paese con un’andatura claudicante e con la sigaretta fra le mani. Sembra trascinarsi quelle gambe pesanti con fatica, perso nei suoi pensieri e nel suo mondo.

La gente del paese racconta che Gigi da giovane organizzava stravaganti competizioni che immancabilmente vinceva. Una volta vinse ingurgitandosi una quantità indefinita di panini alla salsiccia. Un’altra volta mangiando panettoni.
Gigi non racconta quasi nulla della sua vita: dice di non ricordare. Non dice nulla. Dopo un periodo di malattia, ha perso la memoria. Solo due cose ricorda: le numerose donne di cui s’innamorò e il sapore dei pugni delle risse in cui spesso si trovava coinvolto.

La madre filava la lana e il padre faceva il falegname e nutriva una forte passione per la caccia.
Gigi, ultimo di dieci fratelli, ereditò la casa di famiglia. Una casa fantasma dove la vita sembra essersi fermata all’improvviso, tanti anni fa. Come se tutti all’improvviso fossero dovuti scappare e non avessero mai più avuto l’opportunità’ di tornare. Solo Gigi sembra essere tornato. Ma nulla è stato toccato, tutto è rimasto così com’era stato lasciato: il tavolo da anni apparecchiato con cristalli preziosi che nessuno più utilizza; le pentole diligentemente riposte nell’enorme credenza; il telaio della madre Isolina; i bauli e gli attrezzi del padre adagiati con cura sul solaio; la sequenza dei proiettili per cacciare e i trofei di animali imbalsamati; i cunicoli scavati nelle cantine, per raccogliere l’acqua piovana, usati come rifugio durante la guerra.

Una descrizione di Gigi quale è oggi dovrebbe contenere tutto il suo passato. Ma lui non lo racconta il suo passato, lo contiene: come le linee di una mano, nascosto nei dettagli dell’immensa casa dove si aggira solitario tra l’intricato labirinto di corridoi, i vecchi giornali del 1943 ordinati con cura sugli scaffali, il disordine composto, le pareti sgombre da cornici e i cassetti ricolmi di lettere e fotografie.

















Nota:

Andai due volte a intervistare Gigi. Dopo il nostro primo incontro ero furiosa. La sera stessa avrei dovuto presentare il risultato della mia intervista al seminario di fotografia a cui stavo partecipando, e non avevo raccolto quasi nessuna informazione rilevante. Gigi non si ricordava nulla, non mi diceva nulla. Facevo fatica a capire le poche parole che sbiascicava. Giovanni, dopo aver ascoltato le mie impressioni su Gigi e aver visto le foto scattate fino a quel momento, mi disse: “Non hai colto il personaggio. Domani ci ritorni!”. Non sapevo come fare. Ad un certo punto mi sono resa conto che Gigi era cosi, e io non potevo aver la presunzione di volerlo cambiare. Lui il suo passato non lo raccontava a parole: stava tutto scritto nel suo intorno, nella magia di quella casa fantasma in cui viveva e in cui mi aveva fatto entrare. Come Zaira di Italo Calvino (Città Invisibili).

“Memorie allo specchio”: Corso di fotografia col fotografo Giovanni Marrozzini
Citerna, 1 e 2 maggio 2010.


(Canon EOS 40D)




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 San Fele
 2010






Aldo vive a San Fele, paesino arroccato sulla montagna, fatto di salite improvvise, discese improbabili e strade strette e contorte, dove le macchine sfiorano i muri ad ogni passaggio. Intorno distese infinite di campi e boschi, che si dice siano il motivo per cui un tempo la Basilicata si chiamasse Lucania (dal latino lucus, che significa bosco). L’occhio ci si perde in questa macchia verde e ovunque si sente il profumo fresco delle ginestre. Aldo ha una piccola azienda che produce mattoni. Sa tutto di San Fele e racconta storie di chi un tempo se ne andò emigrando; racconta di un mondo pieno di sfumature, semplicità e poesia: 

“Quello in america faceva lo sciainatore - il lustrascarpe (dall’inglese to shine) e quell’altro faceva il camera-man, ovvero il deputato: così sta scritto sul suo bigliettino da visita! Quello invece somiglia a un tipo che faceva il pittore…sì! somiglia a un certo Michelangelo Merisi, che tutti conoscevano come il Caravaggio. E per questa somiglianza in paese lo chiamano “u caravagg”. A me? A me invece piace accendere il fuoco. Quando accendi il fuoco è come se ci fosse qualcuno li con te, anche se stai da solo...”








Nota:


A San Fele ci sono finita per accompagnare Katie. Katie è americana di seconda generazione. Sua mamma ha origini italiane (sicilia e basilicata) e suo padre finlandesi. La sua bisnonna, Rosa Di Giacomo, si trasferi in America agli inizi del '900, proprio nel periodo in cui l’emigrazione dalla Basilicata raggiunse il suo apice. Katie voleva rivedere i suoi cugini, rimasti a San Fele, e così un venerdì mattina presto siamo partite da Firenze in macchina per trascorrere qualche giorno in Basilicata.


Katie e Aldo, San Fele 2010


(Canon AE-1. Kodad TRI X 400)





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Promessa
Bahareya, Egitto, 2010




















Nota:

Bahareya è una delle cinque oasi del deserto occidentale: un deserto che si estende per circa un milione di kilometri quadrati, occupando la maggior parte del territorio egiziano. Si snoda tra le sabbie scure del deserto nero, i sassi scolpiti dal vento del deserto bianco, le ampie vallate delle grandi dune, le sorgenti magiche, le grotte sotterranee, le piantagioni di datteri e d'ibisco e altri posti incantati.

Nel 2010 il governo egiziano ha appoggiato la creazione di una azienda privata che sta progressivamente monopolizzando le escursioni nel deserto, lasciando poco spazio ai beduini che per anni hanno gestito le escursioni autonomamente e in famiglia. Per questo Mahmoud ha recentemente acquistato un pezzo di terra da coltivare, per assicurarsi un lavoro e creare delle opportunità anche per il giovane Hassan, suo nipote.

Per Hassan era il primo giorno nel grande deserto.



(Canon AE-1. Kodad TRI X 400)




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"Sono ancora tutta"
Roma, 2011




Un omaggio alle donne.
Donne la cui anima sopravvive a tutto:
all’abbandono, al giudizio, alla follia, alla miseria.
Donne che si cercano, riscoprendosi.
Donne che sono.
Sono nel mondo.
Sono in loro stesse.
Sono nell'infinita molteplicità degli esseri
e di tutte le cose.
Hanno trovato il loro posto.
Non importa dove: qui è ovunque.




Albania - Tirana - Campo rom nei pressi della stazione ferroviaria.
Egitto - Aswan - Villagio Benben.
Nel 2005 il villaggio di Benben condanna pubblicamente le mutilazioni genitali femminili
e dichiara la propria determinazione ad abbandonare questa pratica millenaria.
Egitto - Cairo - Madame Layla
Bawab è una parola araba che significa portinaio. I bawab vivono generalmente
in condizioni di povertà estrema, in case fatiscenti, o nei sottoscala dei palazzi
di cui si prendono cura. Madame Layla è la moglie di un bawab.
Italia - Firenze (Cirk Fantastik)
Egitto - Aswan - Matrimonio di Asmaa
Albania - Tirana Campo Rom (2010)
Argentina - Purmamarca (2010)
Non sono finita
Non sono finita

Sconfinata
Senza geometria
Coesa.
Non spingetemi
Non frenatemi.
Lasciatemi
Senza abbandono.
Perdetemi!
Ho concluso la volontà
Ed abbracciato l'Io.
Non calcolatemi
Sono poca e tanta
Intera
Dispersa.
Non voglio temere altro.
Ho sostenuto il pianto
Calendari scaduti
Doni ottusi
L'eccesso
L'inverso.
Voglio riconoscere il latte
di un domani vero.
Seminarmi
Nutrirmi
Darmi un nome.
Non sembrate, vi supplico!
Non nascondetemi
Non complicatemi!
Amatemi
Senza Troppo.
Io non sono finita

Poesia - Maddalena Mascherpa
Olio su tela - cm. 90x80- Simona Galbiati



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